La partita Italia in programma alla Dacia Arena di Udine, si giocherà in un clima di tensione e paura. Le autorità hanno predisposto un piano di sicurezza straordinario, temendo manifestazioni e disordini legati al conflitto in Medio Oriente. Ma dietro le barriere, le zone rosse e le scorte armate, resta una domanda che in molti si stanno ponendo. Dov’è finito il vero spirito del calcio?
Udine blindata, ma il dialogo resta chiuso

Nei prossimi giorni, Udine sarà una città blindata. Forze dell’ordine ovunque, accessi controllati e un perimetro di sicurezza che trasforma la partita in un evento “a rischio”. Il motivo è chiaro. La tensione internazionale tra Israele e Palestina, e il timore che la partita possa diventare terreno di protesta.
Il sindaco di Udine, Alberto Felice De Toni, ha chiesto il rinvio dell’incontro, definendo la gara “un rischio per la serenità pubblica e per il valore dello sport”. Una posizione coraggiosa, condivisa da molti cittadini e gruppi civili che si sentono vicini alla causa palestinese. La loro preoccupazione non è solo per l’ordine pubblico, ma per il messaggio che una partita del genere rischia di trasmettere. Quello di un calcio che chiude gli occhi davanti alla sofferenza.
L’Italia di Gattuso tra il campo e il silenzio

Sul piano sportivo, Gattuso e la sua Italia si trovano in una posizione scomoda. Il tecnico ha provato a isolare la squadra dal rumore esterno, ma non è semplice. In campo ci andranno ragazzi che rappresentano un Paese, in una partita dove ogni gesto può essere letto come una presa di posizione.
Nessuno chiede ai giocatori di diventare ambasciatori politici. Ma il calcio dovrebbe avere il coraggio di incarnare i suoi stessi valori: solidarietà, rispetto, fratellanza. Quando si gioca mentre altrove la guerra divora vite innocenti, il silenzio diventa una scelta — e spesso una scelta dolorosa.
I valori traditi dal calcio moderno

Il calcio è sempre stato uno specchio della società e questo riflette un’immagine distorta: impianti blindati, tifosi tenuti lontani, paura di proteste. La partita Italia-Israele avrebbe potuto essere un’occasione di dialogo, di pace e di empatia. Invece, si giocherà in un clima dove prevarrà la tensione e la prudenza.
L’UEFA e la FIGC hanno deciso di non rinviare la gara, garantendo la massima sicurezza. Ma ciò che manca, più dei metal detector, è il coraggio di fermarsi a riflettere. Il calcio dovrebbe unire, non coprire con la retorica il dolore di chi vive sotto le bombe o in condizioni di ingiustizia. Udine si prepara a un evento che avrebbe potuto lanciare un messaggio di pace, ma che rischia di trasformarsi in un simbolo di distanza: quella tra i valori scritti nei comunicati e la realtà di chi soffre.
Una partita che non profuma di calcio
L’Italia di Gattuso scenderà in campo, ma questa volta non ci sarà entusiasmo. Sugli spalti si attende poco pubblico, molti biglietti restano invenduti, e l’atmosfera è tutt’altro che festosa. Non si tratta di antipatia verso la Nazionale, ma di un sentimento diffuso: non è il momento di festeggiare, quando il mondo chiede umanità. Italia-Israele, più che una partita, diventa uno specchio del nostro tempo: un calcio che ha perso la voce, troppo impegnato a non disturbare, incapace di rappresentare davvero chi crede nella pace, nella giustizia e nella libertà dei popoli.
