La notte di Torino lascia all’Inter un sapore amaro. Non tanto per la sconfitta, quanto per il modo in cui è arrivata. Perché quando domini, quando imposti il ritmo, quando ribalti il risultato due volte…perdere fa più male. Eppure, è proprio da queste partite che si capisce quanto una squadra sia vicina al salto definitivo — o quanto le manchi ancora qualcosa.
Dominio sterile

L’Inter ha giocato da grande. Ha tenuto il pallone, ha pressato alto, ha costretto la Juventus a difendersi per larghi tratti. Calhanoglu ha fatto il regista, il finalizzatore e il leader, tutto insieme. Bastoni ha guidato la linea con personalità. Marcus Thuram ha segnato, e ha visto suo fratello Khephren rispondere dall’altra parte. Una serata da romanzo, se non fosse per quel finale.
Perché poi arriva il 91’, e Adzic — un ragazzo che fino a ieri era una promessa — tira da fuori e segna. Sommer non è perfetto, la difesa è sbilanciata, e tutto quello che l’Inter aveva costruito si sgretola in un attimo. Bastoni lo ha detto senza giri di parole: “Abbiamo preso quattro tiri e quattro gol.” E Chivu, con lucidità, ha parlato di pragmatismo da allenare. Perché il calcio non premia solo chi gioca bene, ma chi sa gestire.
Inter, dai cambi serve di più

I cambi non hanno inciso. Zielinski ha provato a dare ordine, Dimarco non ha trovato spazio, Sucic è entrato tardi. E mentre la Juve trovava il match-winner dalla panchina, l’Inter non riusciva a cambiare marcia.
Questa partita lascia all’Inter una certezza: la squadra c’è, il gioco anche. Ma serve qualcosa in più. Serve quella freddezza che ti fa chiudere le partite quando le hai in mano; la capacità di soffrire senza perdere lucidità. E, forse, un pizzico di fortuna in meno agli altri.
Perché dominare non basta. Bisogna vincere. E l’Inter, se vuole davvero prendersi questa stagione, dovrà imparare a farlo anche quando il calcio decide di essere ingiusto.
